Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore rappresentato e difeso ex  lege  dall'Avvocatura
generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma,  via
dei Portoghesi n. 12, 
    Nei confronti della Regione  Veneto  in  persona  del  Presidente
della Giunta regionale pro tempore, 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 3, comma 2, lett. b); 9, comma 3; 18, comma 1; 8, comma 1  e
comma 2; 8, comma 3 e 13, comma 2, lettere d), e), g),  ed  i)  della
legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 24 pubblicata nel B.U.R
n. 94 del 26 giugno 2020 recante: «Normativa regionale in materia  di
polizia  locale  e  politiche  di  sicurezza»,  giusta  delibera  del
Consiglio dei ministri in data 7 agosto 2020. 
    La legge regionale del 23 giugno  2020,  n.  24  detta  norme  in
materia di polizia  locale  e  politiche  di  sicurezza  definendo  i
principi generali afferenti  la  funzione  di  polizia  locale  e  lo
svolgimento dei servizi, l'organizzazione  territoriale,  nonche'  la
valorizzazione della formazione degli operatori di polizia locale. 
    E' avviso del Governo che, con le norme denunciate  in  epigrafe,
la  Regione  Veneto  abbia  ecceduto  dalla  propria  competenza   in
violazione della normativa costituzionale,  atteso  che  le  suddette
norme si pongono in contrasto con la normativa statale  prevista  dal
decreto legislativo n. 117 del 2017 (Codice del terzo settore) e  con
la legge n. 65 del 1986 recante «Legge-quadro sull'ordinamento  della
polizia municipale», che fungono da norme interposte nella violazione
dei parametri costituzionali stabiliti dall'art. 117, secondo  comma,
lettere l) e h), in materia di ordinamento civile e ordine pubblico e
sicurezza,  nonche'  dall'art.  118,  ultimo  comma   (sussidiarieta'
orizzontale), dall'art. 3 (principio di uguaglianza) e  dall'art.  97
della Costituzione (buon andamento della  pubblica  amministrazione),
come si confida di dimostrare con l'illustrazione dei seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) L'art. 3, comma 2, lett. b) della legge Regione  Veneto  n.  24/20
viola l'art. 117, comma 2, lett. l) e h), della Costituzione. 
    L'art. 3, comma 2, lett. b) della legge regionale, prevede che la
regione, per il perseguimento delle finalita' indicate  al  comma  1,
sostiene «la collaborazione istituzionale con i vari enti e organismi
pubblici, territoriali e statali, o anche con privati e organismi del
terzo settore, mediante la  stipulazione  di  intese  o  accordi  per
favorire,  nel  rispetto  delle  competenze  di   ciascun   soggetto,
l'attuazione, l'integrazione e il coordinamento  delle  politiche  di
sicurezza».   L'utilizzo,   nella    disposizione,    di    locuzioni
espressamente riferibili agli enti del  terzo  settore  ma  impiegate
verso soggetti aventi caratteristiche diverse da  quelle  individuate
dal decreto legislativo n. 117 del 2017, viola  l'art.  117,  secondo
comma, lettera  l)  della  Costituzione  in  materia  di  ordinamento
civile, che necessita di uniformita' sull'intero territorio nazionale
ed e' oggetto di legislazione esclusiva statale. 
    La  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.  167/2010,   ha
affrontato plurime  tematiche  inerenti  la  normativa  regionale  in
materia di polizia locale e politiche di  sicurezza,  in  particolare
censurando,  nel  caso  esaminato,   la   normativa   regionale   del
Friuli-Venezia  Giulia  laddove  prevedeva  forme  di  collaborazione
nell'esercizio di funzioni  di  pubblica  sicurezza  tra  la  polizia
locale e le forze di polizia dello Stato. 
    In particolare, nella citata sentenza, la Corte costituzionale ha
affermato che gia' con la legge 7 marzo  1986,  n.  65  (Legge-quadro
sull'ordinamento della polizia municipale), il  legislatore  statale,
nell'esercizio della propria  competenza  aveva  fissato  i  principi
fondamentali in tema di polizia municipale, stabilendo  espressamente
che gli addetti alla  polizia  municipale  «collaborano,  nell'ambito
delle proprie attribuzioni, con le  forze  di  polizia  dello  Stato»
(art. 3), precisando che cio' puo' avvenire solo «previa disposizione
del sindaco,  quando  ne  venga  fatta,  per  specifiche  operazioni,
motivata richiesta dalle competenti autorita'» e  puntualizzando  che
«il personale che svolge servizio di polizia municipale,  nell'ambito
territoriale dell'ente di appartenenza e  nei  limiti  delle  proprie
attribuzioni, esercita anche [...] funzioni  ausiliarie  di  pubblica
sicurezza» (art. 5). 
    Prima dell'entrata in vigore  del  nuovo  Titolo  V  della  parte
seconda della Costituzione, poi, l'art. 159,  comma  2,  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59),  nell'ambito
dell'ampio conferimento di funzioni e compiti alle  regioni  ed  agli
enti locali operato in attuazione della legge di  delega  n.  59  del
1997, ha precisato che restano riservate allo Stato le funzioni ed  i
compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico ed alla sicurezza
pubblica che si riferiscono alle misure preventive e repressive  atte
al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come  il  complesso  dei
beni giuridici fondamentali e degli interessi  pubblici  primari  sui
quali  si  regge  l'ordinata  e  civile  convivenza  nella  comunita'
nazionale. In attuazione di tale previsione,  e'  stato  adottato  il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12  settembre  2000
(Individuazione  delle  risorse  finanziarie,  umane,  strumentali  e
organizzative da trasferire alle regioni  ed  agli  enti  locali  per
l'esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di
polizia amministrativa), con il quale si e' stabilito,  fra  l'altro,
che «lo Stato, le regioni  e  gli  enti  locali  collaborano  in  via
permanente, nell'ambito delle rispettive competenze, al perseguimento
di condizioni ottimali di sicurezza delle  citta'  e  del  territorio
extraurbano e di tutela  dei  diritti  di  sicurezza  dei  cittadini,
nonche' per la realizzazione di specifici progetti di  ammodernamento
e potenziamento tecnico-logistico delle strutture e  dei  servizi  di
polizia  amministrativa  regionale  e  locale,  nonche'  dei  servizi
integrativi di sicurezza e di  tutela  sociale,  agli  interventi  di
riduzione dei danni,  all'educazione  alla  convivenza  nel  rispetto
della legalita'» (art. 7, comma 1). Si e', poi, aggiunto, al comma 3,
che «il Ministro dell'interno, nell'ambito  delle  sue  attribuzioni,
promuove le  iniziative  occorrenti  per  incrementare  la  reciproca
collaborazione  fra  gli  organi  dello  Stato,  le  regioni   e   le
Amministrazioni locali in materia, anche  attraverso  la  stipula  di
protocolli d'intesa o accordi per conseguire specifici  obiettivi  di
rafforzamento delle  condizioni  di  sicurezza  delle  citta'  e  del
territorio extraurbano». 
    Soggiunge la Corte costituzionale che, con la modifica del Titolo
V e' stata  riservata  allo  Stato,  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettera h), Cost.,  la  competenza  in  tema  di  ordine  pubblico  e
pubblica sicurezza; ed alla competenza regionale residuale  -  e  non
piu' concorrente - e'  stata  attribuita  la  materia  della  polizia
amministrativa locale. Quanto alla necessita' di  una  collaborazione
fra forze di polizia municipale e forze di polizia di  Stato,  l'art.
118, terzo comma, Cost., ha provveduto espressamente a demandare alla
legge  statale  il  compito  di  disciplinare  eventuali   forme   di
coordinamento nella materia dell'ordine pubblico e della sicurezza. 
    Sul tema, poi, codesta Corte si e' gia'  pronunciata,  affermando
che le «auspicabili forme di  collaborazione  tra  apparati  statali,
regionali e degli enti locali volti a  migliorare  le  condizioni  di
sicurezza dei cittadini e del territorio, sulla falsariga  di  quanto
ad esempio prevede  il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 12 settembre 2000  [...]  non  possono  essere  disciplinate
unilateralmente   e   autoritativamente   dalle   regioni,    nemmeno
nell'esercizio della loro potesta' legislativa» (sentenza n. 134  del
2004; sentenze n. 10 del 2008, n. 322 del 2006, n. 429 del 2004). 
    Alla luce dei suesposti principi, la  norma  regionale  impugnata
viola comunque l'art. 117, comma 2, lett.  h)  Cost.  in  materia  di
ordine pubblico e sicurezza. 
    Nella specie,  la  norma  regionale  censurata  dispone,  pur  in
assenza di indicazioni del legislatore  statale,  «la  collaborazione
istituzionale con i vari enti e organismi  pubblici,  territoriali  e
statali, o anche con privati e organismi del terzo settore,  mediante
la stipulazione di intese o accordi per favorire, nel rispetto  delle
competenze di ciascun soggetto,  l'attuazione,  l'integrazione  e  il
coordinamento delle politiche di sicurezza», disciplinando  non  solo
modalita' di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da  parte
della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione  con  le
forze  della  polizia  dello  Stato,  in  evidente  violazione  della
competenza esclusiva statale in tema di sicurezza pubblica. 
    Codesta Corte ha  affrontato  analoga  questione  riguardante  la
normativa regionale  della  Basilicata  (sentenza  n.  35  del  2011)
affermando che la regolamentazione delle «intese  di  collaborazione»
oggetto di censura  viene  a  collocarsi  nell'ambito  della  materia
«ordine pubblico e sicurezza», di  competenza  legislativa  esclusiva
statale: materia che,  per  consolidata  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, attiene «alla prevenzione dei reati e al mantenimento
dell'ordine pubblico», inteso quest'ultimo quale «complesso dei  beni
giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari  sui  quali
si regge l'ordinata e civile convivenza  nella  comunita'  nazionale»
(ex plurimis, sentenza n. 129 del 2009 e - in rapporto a  fattispecie
nelle  quali  veniva  specificamente  in  rilievo  il   concetto   di
«sicurezza urbana» - sentenze n. 274 e n. 226 del 2010,  n.  196  del
2009). 
    Donde la sussistenza della violazione denunciata sotto entrambi i
profili. 
2) L'art. 9, comma 3, della  legge  Regione  Veneto  n.  24/20  viola
l'art. 117, comma 2, lett. l), della Costituzione. 
    L'art. 9, comma 3, prevede che «nei regolamenti di polizia locale
puo' anche essere previsto l'impiego di istituti di vigilanza e delle
associazioni di volontariato di  cui  all'art.  18,  con  compiti  di
affiancamento  e  supporto  all'azione  della  polizia  locale  e  la
possibilita' di effettuare servizi per conto terzi, in  coerenza  con
quanto previsto agli articoli 16 e 17 e nel rispetto della  normativa
statale in materia». Lo svolgimento - non in via residuale ma in  via
primaria - da  parte  degli  enti  di  attivita'  diverse  da  quelle
individuate dall'art. 5 del codice del terzo settore, da  considerare
quale  norma  interposta  nella  valutazione  della  conformita'   ai
parametri costituzionali, viola anch'esso l'art. 117, secondo  comma,
lett. l) della Costituzione in materia  di  ordinamento  civile,  che
necessita di  uniformita'  sull'intero  territorio  nazionale  ed  e'
oggetto di legislazione esclusiva statale. 
    La giurisprudenza  di  codesta  Corte  e',  del  resto,  costante
nell'affermare che «la novazione della  fonte  con  intrusione  negli
ambiti  di  competenza  esclusiva  statale   costituisce   causa   di
illegittimita' della norma» (ex plurimis, sentenze n. 35 del  2011  e
n. 26 del 2005). 
    Inoltre, l'art. 9, comma 3, stabilisce che i regolamenti comunali
possano prevedere lo svolgimento da  parte  delle  «associazioni»  di
volontariato di «compiti di affiancamento e supporto all'azione della
polizia locale» e  «l'effettuazione  di  servizi  per  conto  terzi»;
questi ultimi,  ai  sensi  del  successivo  art.  20,  consistono  in
«attivita' o servizi richiesti da soggetti privati e pubblici», sulla
base  di   «tariffe   decise   dall'ente   locale»,   ovvero   dietro
corresponsione di un corrispettivo. 
    Ai sensi del codice  del  terzo  settore,  le  organizzazioni  di
volontariato  (art.  33),  «per  l'attivita'  di  interesse  generale
prestata ...  possono  ricevere  soltanto  il  rimborso  delle  spese
effettivamente sostenute e documentate, salvo che tale attivita'  sia
svolta quale attivita' secondaria e strumentale  nei  limiti  di  cui
all'art.  6»  del  medesimo  codice.  Pertanto,  non  sembra  che  la
previsione di specifiche tariffe stabilite con  regolamenti  comunali
di cui alla legge regionale sia  sovrapponibile  a  quella  del  mero
rimborso delle spese sostenute dall'organizzazione o, secondo analogo
principio, dal singolo volontario appartenente all'associazione (art.
17, comma 3, del codice). 
    Anche sotto tale profilo, la norma viola  l'art.  117,  comma  2,
lett. l) Cost. 
3) L'art. 18, comma 1, della legge  Regione  Veneto  n.  24/20  viola
l'art. 118, ultimo comma, l'art. 117, comma 2, lett. l)  e  l'art.  3
della Costituzione. 
    L'art. 18, comma 1, prevede l'attribuzione agli  enti  del  terzo
settore di compiti ausiliari di quelli  delle  Amministrazioni  dello
Stato o degli enti locali, quali quelli della  polizia  locale.  Data
l'assenza di autonomia che qualifica  la  funzione  ausiliaria,  deve
ritenersi integrata una violazione dell'art. 118, ultimo comma, della
Costituzione, che chiarisce che l'iniziativa dei cittadini singoli  o
associati per lo svolgimento di attivita' di interesse generale  deve
essere  autonoma  rispetto  ai  pubblici  poteri  e  in  rapporto  di
sussidiarieta' con essi. 
    L'art. 18, comma 1, limitando unicamente  alle  «associazioni  di
volontariato» le attivita' volte a «favorire  la  partecipazione  dei
cittadini», risulta violare, oltre che il  citato  art.  118,  ultimo
comma,  anche  dell'art.   3   della   Costituzione   (principio   di
uguaglianza),  considerato  che,  fatta  salva  la  possibilita'  per
ciascun  ente  di  individuare   autonomamente   i   propri   assetti
istituzionali, tutti gli enti del terzo settore possono  svolgere  le
attivita' di cui all'art. 5 del  codice  del  terzo  settore  e  sono
strumento di partecipazione  dei  cittadini  allo  svolgimento  delle
attivita' di interesse comune. 
    In particolare,  l'utilizzo  di  tali  locuzioni  negli  articoli
citati e' effettuato senza  particolari  riferimenti  alla  normativa
nazionale, quale norma interposta, che definisce gli enti  del  terzo
settore e le organizzazioni di volontariato (enti del  terzo  settore
costituiti in forma specifica) e prevede quale requisito  costitutivo
ai fini della qualificazione degli stessi  l'iscrizione  al  registro
unico nazionale del terzo settore o ai registri  istituiti  ai  sensi
della normativa  rivista  ad  opera  del  codice  del  terzo  settore
(decreto legislativo n. 117/2017). Il parametro di  costituzionalita'
invocabile e' l'art. 117, secondo comma, lett. l) della  Costituzione
in quanto  la  materia  dell'ordinamento  civile,  che  necessita  di
uniformita'  sull'intero  territorio   nazionale,   e'   oggetto   di
legislazione esclusiva statale. 
    Inoltre, mentre e' pacifica, per espressa previsione del  codice,
attuativa anche del principio di sussidiarieta' orizzontale  ex  art.
118, ultimo comma della Costituzione, la possibilita'  per  gli  enti
locali e le altre amministrazioni pubbliche, di coinvolgere gli  enti
del   terzo   settore   attraverso   forme   di    co-programmazione,
co-progettazione  e  il  ricorso  a  forme  di   partenariato,   piu'
problematica sembra la previsione recata  dall'art.  18  della  legge
regionale  secondo  cui   la   regione   promuove   e   sostiene   la
partecipazione delle «associazioni»  di  volontariato  ad  iniziative
finalizzate, tra l'altro, ad assistere la polizia locale in occasione
di eventi (non viene specificato il contenuto dell'assistenza),  e  a
«svolgere  attivita'  di  ausilio  nella  sorveglianza   dei   luoghi
pubblici, finalizzate ad  allertare  tempestivamente  gli  organi  di
polizia locale o nazionale per i necessari interventi». 
    Il codice del terzo settore individua puntualmente all'art. 5  le
attivita'   che   possono   costituire   oggetto   delle    attivita'
istituzionali degli enti del terzo settore; 
    le attivita' indicate dall'art. 18 della legge regionale in esame
sono difficilmente riconducibili a queste ultime data la mancanza  di
autonomia che le caratterizza. 
    Ne deriva la sussistenza della violazione denunciata. 
4) L'art. 8, comma 1 e comma 2 della legge Regione  Veneto  n.  24/20
viola l'art. 117, comma 2, lett. l),  l'art.  3  e  l'art.  97  della
Costituzione. 
    Le disposizioni di cui all'art. 8, comma 1 e comma  2  articolano
la struttura organizzativa di polizia locale  prevedendo  determinati
ruoli funzionali  e  distintivi  di  grado  (agenti,  sottoufficiali,
ufficiali e comandanti) e ne individuano anche  i  relativi  rapporti
gerarchici interni. 
    Codesta Corte, nella citata sentenza n. 35 del 2011, ha  ritenuto
costituzionalmente illegittima una norma che, al pari di quella  oggi
censurata, «provveda ad attribuire al personale della polizia  locale
la  qualifica  di  ufficiale  o  agente   di   polizia   giudiziaria,
trattandosi di compito riservato in via esclusiva  alla  legislazione
statale (sentenze n. 167 del 2010 e n. 313 del 2003)». 
    Ne', soggiunge codesta Corte, «il richiamo contenuto nella  legge
regionale alla legge statale (e comunque la conformita'  della  prima
alla seconda)» - peraltro nella fattispecie nemmeno sussistente, come
si vedra' - «vale ad emendare il vizio denunciato. Il problema qui in
discussione, infatti, non e' di stabilire se la legge regionale sia o
non sia conforme a quella statale, ma, ancor prima, se sia competente
o meno a disporre  il  riconoscimento  delle  qualifiche  di  cui  si
tratta,  indipendentemente  dalla  conformita'  o  dalla  difformita'
rispetto alla legge dello Stato». 
    Peraltro, come accennato, la norma si pone anche in contrasto con
gli articoli 6 e 7, comma 3, della legge n. 65 del 1986, quali  norme
interposte, in quanto ultronea rispetto al perimetro della competenza
legislativa regionale in materia di  polizia  locale  definito  dalla
legge quadro ed in  particolare  disomogenea  rispetto  alle  diverse
qualifiche  ordinamentali  indicate,  per  il   suddetto   personale,
dall'art. 7, comma 3. 
    La  disposizione  viola,  per   tali   profili,   la   competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione. 
    Inoltre,  trattandosi,  anche  per  il  personale  della  polizia
locale,  di  rapporto   di   diritto   privato   con   una   pubblica
amministrazione, si osserva che una diversa disciplina  dei  ruoli  e
delle  qualifiche  potrebbe  impattare,  soprattutto  per  i  profili
economici, anche sulla relativa  disciplina  prevista  dal  contratto
collettivo nazionale del comparto  enti  locali  che  detta,  secondo
quanto considerato dalla stessa Corte  costituzionale,  principi  che
«costituiscono   tipici   limiti   di   diritto   privato,    fondati
sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di
garantire  l'uniformita'  nel  territorio  nazionale   delle   regole
fondamentali di diritto che  disciplinano  i  rapporti  tra  privati»
(sentenza n. 189 del 2007). 
    Sotto tale profilo, la norma regionale  viola  inoltre  l'art.  3
della Costituzione, in quanto introduce una disparita' di trattamento
e una disomogeneita' della  disciplina  ordinamentale  generale,  con
presumibili effetti anche sull'art. 97 della Costituzione  in  quanto
altera il principio del buon andamento. 
5) L'art. 8, comma 3 della legge Regione Veneto n. 24/20 viola l'art.
117, comma 2, lett. l) della Costituzione. 
    L'art. 8, comma 3, prevede che  la  Giunta  regionale  definisca,
sentita la Commissione consiliare, le caratteristiche delle  uniformi
e dei distintivi di  grado,  nonche'  dei  mezzi  e  degli  strumenti
operativi e di autotutela in dotazione agli appartenenti alla polizia
locale. 
    Al riguardo, si evidenzia che l'art. 6, comma 2, numeri 4  e  5),
della legge-quadro n. 65 del 1986 prevede che le regioni disciplinino
con  legge  regionale  le   caratteristiche   delle   uniformi,   dei
distintivi, dei mezzi e degli strumenti  operativi  in  dotazione  ai
Corpi o ai servizi, mentre nel caso  di  specie  la  disposizione  si
limita a delegare l'esecutivo regionale  ad  individuare  i  suddetti
segni distintivi e strumenti operativi tramite atti non  legislativi.
Cio' in violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  l)  della
Costituzione in materia di ordinamento civile. 
6) L'art. 13, comma 2, lettere d), e) g) ed i)  della  legge  Regione
Veneto  n.  24/20  viola  l'art.  117,  comma  2,  lett.   h)   della
Costituzione. 
    Le disposizioni di cui all'art. 13, comma 2, lettere d), e),  g),
ed i) confliggono con il sistema delineato dal legislatore statale in
materia di presidio del territorio,  pianificazione  e  coordinamento
delle Forze di  polizia  di  cui  alla  legge  n.  121  del  1981  di
competenza esclusiva dello Stato. 
    Quanto alla lettera d) del citato art. 13, comma  2,  si  osserva
che i processi di pianificazione e razionalizzazione dei  presidi  di
polizia sono rimessi dall'ordinamento alla competenza esclusiva dello
Stato esercitata con la legge 1° aprile 1981, n. 121, recante  «Nuovo
ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza». 
    L'art.  6,  comma  1,  lett.  e)  della  suddetta  legge  prevede
espressamente che la «pianificazione generale e  coordinamento  delle
pianificazioni operative della dislocazione delle Forze di polizia  e
dei relativi servizi tecnici» rientra tra  i  compiti  attribuiti  al
Dipartimento della pubblica sicurezza.  In  tale  contestualizzazione
sistematica la stessa legge conferisce al prefetto e al questore - in
quanto autorita' provinciali di pubblica sicurezza - rispettivamente,
la facolta' di «disporre  della  forza  pubblica»  (art.  13)  e  «la
direzione, la responsabilita' e il coordinamento, a  livello  tecnico
operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza e dell'impiego a  tal
fine della forza pubblica» (art. 14). 
    Sotto tale profilo, la disposizione regionale, nel prevedere  che
la  Giunta  regionale  rafforzi   e   valorizzi   azioni   coordinate
finalizzate al potenziamento e alla condivisione  degli  strumenti  e
delle  procedure  necessarie  al  coordinamento  degli  apparati   di
sicurezza, viola la competenza esclusiva dello Stato  in  materia  di
ordine e sicurezza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h). 
    Quanto alle lettere e), g) ed i) del citato art. 13, comma 2,  si
formulano analoghe  considerazioni,  atteso  che  dette  disposizioni
prevedono che la Giunta promuova e programmi azioni  di  sistema  sul
territorio regionale coinvolgendo «anche le  forze  dell'ordine»  per
«la lotta ad ogni forma di illegalita' e di infiltrazione  criminale»
anche attraverso «la partecipazione a specifici programmi comunitari»
(lettera  e);  inoltre  la  disposizione  di  cui  alla  lettera   g)
esplicitamente rimette alla Giunta interventi volti a «razionalizzare
e potenziare presidi di sicurezza presenti sul territorio  regionale»
e quella di cui alla lettera i) dispone  che  la  Giunta  costituisca
«tavoli a livello provinciale per la definizione e  l'implementazione
continua delle politiche per la sicurezza». 
    Pur considerando che tali attivita' sarebbero  svolte,  ai  sensi
del comma 2, dell'art. 13, anche mediante  accordi  sottoscritti  con
organi e autorita' di pubblica sicurezza - che  comunque  non  paiono
conformi a quanto disposto dall'art. 2 del decreto-legge  n.  14  del
2017, secondo il quale, come previsto dalle linee generali in materia
di sicurezza integrata, detti accordi sono sottoscritti dai  prefetti
dei capoluoghi di regione - si osserva che  la  natura  convenzionale
dello strumento cosi' delineato non e' compatibile con i processi  di
pianificazione  e  razionalizzazione  dei  presidi  di  polizia   che
l'ordinamento rimette alla competenza strettamente statale. 
    Si evidenzia inoltre che i meccanismi convenzionali e pattizi cui
la legge regionale fa riferimento si riferiscono alle  iniziative  di
sicurezza integrata, rispetto alle quali la legge  dello  Stato,  nel
dare   attuazione   al   principio   del   coordinamento    normativo
Stato-regioni in materia di sicurezza, presuppone il  rispetto  delle
rispettive competenze dei diversi livelli di Governo. 
    Le  politiche  di  sicurezza  non   si   realizzano,   attraverso
trasferimento di funzioni, da un  plesso  all'altro  dei  livelli  di
governo, ma prevedono che essi operino nel rispetto delle  rispettive
sfere di competenza, nella trama definita dalla Costituzione. 
    La stessa giurisprudenza della Corte costituzionale  ha,  in  tal
senso, sempre ribadito e confermato  la  competenza  esclusiva  dello
Stato in materia di presidio e controllo del territorio (sentenza  n.
285 del 2019). La Corte ha infatti osservato che proprio con riguardo
al  controllo  del  territorio,  il  comma   8   dell'art.   12   del
decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 recante  «Provvedimenti  urgenti
in tema di lotta alla criminalita' organizzata  e  di  trasparenza  e
buon  andamento  dell'attivita'  amministrativa»,   convertito,   con
modificazioni, nella  legge  12  luglio  1991,  n.  203,  assegna  al
Ministro  dell'interno  il  potere  di  emanare  direttive  «per   la
realizzazione  a  livello  provinciale,  nell'ambito  delle  potesta'
attribuite al prefetto [...], di piani coordinati  di  controllo  del
territorio da attuarsi a cura dei competenti uffici della Polizia  di
Stato e dei comandi provinciali dell'Arma  dei  carabinieri  e  della
Guardia di finanza, ai quali possono partecipare, previa richiesta al
sindaco, contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale». 
    In tal senso, e' al Ministro dell'interno e ai prefetti in ambito
provinciale che spetta coinvolgere la polizia municipale per  compiti
di controllo del territorio, eventualmente promuovendo «le iniziative
occorrenti per  incrementare  la  reciproca  collaborazione  fra  gli
organi dello  Stato,  le  regioni  e  le  Amministrazioni  locali  in
materia, anche attraverso la stipula di protocolli d'intesa o accordi
per conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle  condizioni
di sicurezza delle citta' e  del  territorio  extraurbano»  (art.  7,
comma 3, del decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  12
settembre 2000, recante «Individuazione  delle  risorse  finanziarie,
umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli
enti  locali  per  l'esercizio   delle   funzioni   e   dei   compiti
amministrativi  in  materia  di  polizia  amministrativa»).  Come  ha
chiarito   la   Corte   costituzionale,   i   compiti   di    polizia
amministrativa, esclusi dalla competenza esclusiva  statale  ex  art.
117, lett. h), Cost., «concernono le attivita' di  prevenzione  o  di
repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che  possono  essere
arrecati alle persone o alle  cose  nello  svolgimento  di  attivita'
ricomprese nelle materie sulle  quali  si  esercitano  le  competenze
regionali (sanita', turismo, cave e torbiere,  etc.),  senza  che  ne
risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in
nome dell'ordine pubblico. In altri termini, al fine di  decidere  se
un  determinato  potere   rientri   nelle   competenze   di   polizia
amministrativa trasferite o delegate alle regioni, occorre  applicare
un duplice criterio: 
        a) verificare se le  funzioni  di  polizia  in  contestazione
accedano ad una delle materie trasferite o delegate alle regioni; 
        b) accertare che gli  interessi  o  i  beni  che  si  intende
tutelare con le funzioni di cui si tratta  non  rientrino  in  quelli
compresi nel concetto di ordine pubblico.» (sentenza. n. 218/88). 
    Infatti, «solo quando le funzioni  di  polizia  accedano  ad  una
delle materie regionali e gli interessi o i beni pubblici che si mira
a tutelare con l'esercizio dei poteri  ad  esse  connessi  siano  del
tutto  interni  alla  disciplina  amministrativa  della  materia   in
questione, quelle misure  possono  essere  ricondotte  alle  funzioni
regionali (o provinciali) di  polizia  amministrativa»  (sentenza  n.
129/09). 
    In tal  senso,  la  Corte  costituzionale  ha  chiarito,  con  la
sentenza da ultimo citata, che la rilevanza dei  compiti  di  polizia
amministrativa  deve  necessariamente  esaurirsi  all'interno   delle
attribuzioni  regionali  e  non  puo'  toccare  quegli  interessi  di
fondamentale importanza per l'ordinamento complessivo che e'  compito
dello Stato curare. 
    Se cio'  vale  per  la  delimitazione  «per  attribuzioni»  della
competenza legislativa regionale (da  intendersi  limitata  a  quelle
attivita',  rientranti  nel  concetto  di  sicurezza   pubblica,   di
competenza regionale), analoga conclusione deve raggiungersi anche in
relazione  alla   delimitazione   «territoriale»   della   competenza
legislativa regionale, traducendosi la  possibilita'  di  raggiungere
intese con altri enti locali, per tutelare la sicurezza  pubblica  in
una indebita invasione della competenza legislativa statale che,  per
definizione, riguarda l'intero territorio nazionale. 
    La norma viola dunque l'art. 117, secondo comma, lettera h) Cost.